
Chissà quanti, trovandosi in una generica difficoltà, avranno chiesto aiuto con la più tipica delle invocazioni: dammi una mano! Una comune espressione, associabile ai più disparati contesti nei quali sia necessario o perlomeno desiderabile il contributo di altri. Qui ci limiteremo ad analizzare due situazioni, proprie dell’attività di nostro interesse, dove il dare una mano non sottintende nulla di diverso dal significato letterale e fisico di questa frase.
Può accadere che per superare un passaggio particolarmente disagevole oppure esposto al vuoto, un nostro compagno di escursione ci inviti a fornirgli il supporto di una salda presa alla sua mano protesa verso di noi. È frequente in questi casi assistere a classiche strette di mano. È una situazione da considerare a rischio: se una delle due dovesse perdere vigore (generalmente questo accade alla più piccola) l’altra non riuscirebbe a trattenere efficacemente una mano affusolata e sfuggente. Ben più valido è il metodo di afferrarsi reciprocamente il polso, il cedimento di una delle due mani non comprometterebbe in alcun modo la presa dell’altra.
Infine, è possibile che durante la risalita di facili paretine, ansia e tremori ci possano bloccare. Un compagno dal piede saldo e in posizione più elevata, può toglierci facilmente d’impaccio afferrando la maniglia superiore del nostro zaino (quella che è utilizzata per sollevarlo da terra) purché dotato di fascia ventrale allacciata. Questa leggera trazione, ci aiuterà a superare il momento di difficoltà. Contribuirà ad arrestare sul nascere nostre eventuali brevi scivolate o perdite di equilibrio e ci consentirà di avere le mani libere per progredire sulla roccia, infondendoci così, anche la necessaria tranquillità per continuare l’escursione.














